FUORI TRACCIA
la festa di Muovi Equilibri
/ il giorno più corto dell’anno

Monte Sole, 13/04/2024

Una giornata di attività outdoor, socialità e musica per festeggiare il primo anno dell'associazione e

sostenerla, ma soprattutto per parlare di Montagnaterapia!



Si partirà dalla mattina, con un fitto programma per uscire dalle tracce prestabilite:

Si potrà affrontare una biciclettata partendo da Bologna, esplorare ripide salite in mtb, fare un'escursione o

giocare con l'equilibrio su una slackline.

Insomma ce ne sarà per tutti i gusti: per chi è espert*, per chi ha voglia di mettersi in gioco e anche per chi

è semplicemente curios*!

.

A seguire pranzo al Poggiolo rifugio Re_Esistente!

.

Nel pomeriggio si parlerà di Montagnaterapia, con i presenti e gli invitati del settore.  
Sarà una chiacchiera aperta su pratiche condivise, promotrici di attività e progetti che pongono al centro la
persona in interazione con l’ambiente montagna, riconoscendone il potenziale ludico, ricreativo e

trasformativo.
.

A seguire, Danze e Musica fino a sera!

Quindi vi aspettiamo Sabato 13 Aprile al Poggiolo rifugio Re_Esistente, nel Parco storico di Montesole

(Bologna)!

PER CONOSCERE MUOVI EQUILIBRI E IL PROGRAMMA DELLA FESTA:
 https://sites.google.com/muoviequilibri.com/muoviequilibri/Sostienici/eventi

PER PRENOTARE
compilare il form (che ci da un'idea dei numeri, soprattutto per il pranzo!): https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfmnJneJnPQh8Cs4cBvJNbYztT6bOiAVy1rX3HYCzcocD4P8Q/viewform








Marocco on the Rocks / un diario dalla Atlas Mountain Race
2023

Mi ero iscritto all’Atlas Mountain Race un po’ per caso. Era l’autunno del 2020 e la mia vita scorreva monotona e prevedibile. Mi illudevo che quel brutto periodo di pandemia e lockdown fosse passato e ricominciavo a fantasticare su viaggi e avventure da postare su Instagram per fare invidia agli amici. Scrollando i social, un post dice che mancano sei ore alla chiusura delle iscrizioni di questa gara di bikepacking off-road in cui bisogna percorrere in autonomia oltre 1.300 chilometri e 25.000 metri di dislivello attraverso i paesaggi remoti della catena montuosa dell’Atlante, in Marocco. Non ho mai fatto una roba del genere, non sono allenato, sta cominciando l’inverno, la gara è a inizio febbraio. Una serie di red flag che scelgo di ignorare per fare un torto al mio peggior nemico: il me del futuro. Mi iscrivo, convinto che tanto non avrei mai passato la selezione, stappo una birra e non ci penso più.

A metà novembre arriva una mail: “Welcome to the Atlas Mountain Race!”. Caspita, questa proprio non me l’aspettavo. Avevo un po’ di esperienza di “trail” in Italia, ovvero quegli eventi di ciclismo off-road in bikepacking da affrontare in autonomia. Quelli che di solito si chiamano “*nome regione* Trail”, per capirci. È una dimensione che mi piace un sacco: non devi fare altro che passare le tue giornate a pedalare il più possibile, stacchi il cervello, accendi le gambe e ti avventuri alla scoperta di posti meravigliosi. Solo te, la natura e la fatica. Ma si trattava di 3, 4, 500 chilometri a due passi da casa, con alberghi, supermercati e quant’altro sempre più o meno dietro l’angolo. Un weekend, e sei di nuovo sul divano. Qui la faccenda è parecchio diversa. Forse l’avevo fatta grossa?

La gara è tra due mesi e mezzo. O forse no. Il Covid è tornato, osservo il numero dei contagi salire. La gara viene rimandata a ottobre 2021, poi di nuovo al febbraio seguente, e infine a ottobre 2022. Per procrastinare ancora un po’, nell’estate 2022 decido di fratturarmi una caviglia e scrivo all’organizzazione pregando di farmi spostare all’edizione di febbraio 2023. Hai sentito anche tu quel rumore? Sembrava proprio una birra che si stappava!

A Natale mi salta fuori uno scomodo ascesso al fondoschiena, che crea nuove incertezze sulla mia partenza fino a pochi giorni prima. Mi limiterò a dire che il mio amico Giacomo, che fa il chirurgo e che qui ringrazio, ha fatto il possibile per neutralizzare il pericolo e fare in modo che potessi partire. Con enorme perplessità, ancora dolorante e privo dell’adeguata preparazione fisica, mentale e logistica, preparo le borse, faccio il pieno di medicinali e parto per Marrakech al motto di “io speriamo che me la cavo”. Se prima l’obiettivo era di arrivare al traguardo entro il tempo limite, ora è di riuscire a fare almeno un paio di giorni prima di “scratchare” (“ritirarsi”, in gergo da ultratrail) a causa dell’esplosione di una qualche parte del mio corpo. Cosa che, in un certo senso, mi pone in un piacevole stato di rassegnazione e mi libera da tutte le ansie che prima mi attanagliavano.


BICI: Walden di Mondo Cycles, un produttore locale di Bologna. Si tratta di una MTB hardtail con telaio in acciaio, forcella Rockshox da 120 mm e ruote da 29″ equipaggiate con pneumatici Vittoria Mezcal III XC-trail da 2,25″.
Gruppo Shimano Deore XT a 12 velocità con corona da 32 denti e cassetta Garbaruk 10-52 denti.
Alcune brutte ma funzionali impugnature Ergon e le estensioni aerodinamiche (e la campana rosa) prese in prestito dal mio amico Dario sono state attaccate al riser nella speranza che possano aiutare a lenire il dolore.
BORSE: un fantastico set personalizzato di Arch composto da borsa da sella, borsa per telaio completo e borsa per tubo orizzontale.
ATTREZZATURA: Per l'acqua, uno zaino Evoc con una sacca da 3 litri e un'altra borsa da 2 litri nella borsa del telaio e una bottiglia morbida da 1 litro. Due power bank (30.000+20.000 mAh) per caricare telefono, luci e Wahoo Roam.
Sacco a pelo, materassino, bivvy e un mucchio di vestiti caldi per la notte.


Il primo giorno è stato, almeno nella mia memoria, sicuramente il più duro. La salita fino ai 2.550 metri di altitudine del passo Telouet, nel cuore della notte, con temperature ampiamente sotto lo zero e vari tratti di bici a spinta in mezzo alla neve, è stata semplicemente brutale. Non è un caso se, all’arrivo al primo checkpoint, nel paese di Telouet, una volta valicato il passo, diversi partecipanti hanno dato forfait. Non tutti e tutte infatti erano equipaggiati a sufficienza per il freddo, che si sarebbe dimostrato persistente anche nei giorni a venire. In effetti, le temperature di quella settimana erano decisamente al di sotto della media stagionale marocchina, tenendo poi presente che la maggior parte della traccia si sviluppa ad un’altitudine media attorno ai 1.500 metri sul livello del mare. Io, fortunatamente, durante un attacco d’ansia avevo messo in valigia tutti i miei vestiti invernali, che mi sono tornati parecchio utili! Ad onor del vero, essendo l’aria tendenzialmente parecchio secca, finché continuavi a muoverti e produrre calore corporeo, era difficile accorgersi di quanto facesse freddo. Finalmente ho avuto una dimostrazione empirica del famoso “è l’umidità che ti frega”, la frase che chiunque abbia vissuto almeno un inverno nella Pianura Padana ha sentito pronunciare almeno quattro miliardi di volte.

Se vuoi saperne di più sull’evento, da fonti più ufficiali e attendibili di me, qui trovi la Raccolta ufficiale dell’Atlas Mountain Race 2023: https://www.komoot.com/it-it/collection/1853122/-atlas-mountain-race-2023 (se ti chiedi perché hanno deciso di suddividere la traccia in dieci tappe, quando il tempo limite per terminare la gara era di nove giorni, la risposta è che non ne ho idea).

Qui invece trovi la Raccolta per l’edizione 2024 https://www.komoot.com/it-it/collection/2425030/-atlas-mountain-race-2024 (come scritto nell’introduzione, la traccia è rimasta sostanzialmente immutata a parte qualche piccola modifica).

Quello che è cambiato, purtroppo, è la condizione di alcuni dei villaggi di quelle zone, tragicamente devastati dal disastroso terremoto del settembre 2023. Alcuni dei villaggi che puoi vedere nelle mie foto, oggi sono con ogni probabilità ridotti in macerie, almeno parzialmente. L’organizzazione dell’Atlas Mountain Race ha deciso di portare avanti la gara anche nel 2024, ovviamente dopo aver verificato l’agibilità delle strade e delle strutture. Per la gente che abita le zone remote che questa gara attraversa, incredibilmente ospitale e generosa, anche i profitti portati dalle attività collaterali a questo evento possono fare una differenza. Se ti ritroverai a viaggiare in questi luoghi, assicurati di ricambiare questa grande generosità in maniera adeguata.

Giorno 1: Da Marrakech a Telouet – Atlas Mountain Race 2023

Arrivo a Marrakech la sera del giorno prima della partenza, giusto il tempo di prendere un taxi per andare in centro e cenare con Giuseppe Colucci, compagno di scorribande bolognesi e ultra-ciclista di classe superiore, e il suo amico Orestis. I due gareggiano in coppia. La mattina del grande giorno, l’hotel pullula di uomini e donne in lycra, su tutti i muri sono appoggiate biciclette ricolme di gadget. Ognuno è indaffarato a fare qualcosa, a fare gli ultimi assestamenti, a ricontrollare la traccia. C’è anche chi se la dorme tranquillamente a bordo piscina, forse la cosa migliore da fare. L’aria è fredda, ma al sole si sta bene. Alcune persone hanno degli assetti talmente leggeri che mi viene da chiedermi se hanno guardato le previsioni del tempo. Lo sapranno che stiamo andando a 2.500 metri dove sono previste temperature che sfiorano i -10°C? Altre invece sembra che abbiano deciso di portarsi direttamente dietro la casa.

Arriva l’ora della partenza: le 18:00. Il sole tramonterà poco dopo le 19:00. Questo, assieme al fatto che per arrivare al primo checkpoint la traccia prevede 3.500 metri di dislivello da coprire in circa 100 chilometri, inizia a farmi sospettare che Nelson Trees, l’organizzatore della gara, sia mosso da una certa dose di sadismo. Sospetto che avrò modo di confermare largamente nei giorni successivi.

Partiamo in 200 da Marrakech, scortati dalla polizia che ferma il traffico a sirene spiegate. La gente si raduna a bordo strada per farci video e batterci il cinque. Dopo quasi due ore di gruppone si passa dall’asfalto allo sterrato. Le sirene scompaiono, calano le tenebre. Non ho idea di dove mi trovi, ma, gasato da tutte quelle foto e quegli applausi e perciò ormai convinto di essere un vero atleta, procedo a ritmo spedito.

Attraverso alcuni villaggi, nel buio della notte. È il mio primo approccio con il Marocco rurale. Ogni tanto scorgo le sagome spettrali di uomini che stanno lì, in piedi, in silenzio, fissandomi. Come la maggior parte degli abitanti di queste zone, indossano una Djellaba, la tradizionale tunica marocchina con cappuccio a punta. Io, ignorante turista occidentale, una Djellaba non l’avevo mai vista, e intravedere questi individui incappucciati tra i vicoli dei villaggi è un vero flash, mi sembra di essere in un sogno.

Mi chiedo cosa stiano pensando quegli uomini mentre mi osservano, ansimante e mal vestito, attraversare il loro villaggio in una fredda notte d’inverno in sella a una bicicletta stramba e piena di lucine. Immagino stiano riflettendo sulla stupidità dell’uomo occidentale.

Più ci addentriamo nella notte, più saliamo, più calano le temperature. Sono molto fiero di me, perché per una volta, complici l’ansia e il terrore, sono stato conservativo e ho portato indumenti caldi in abbondanza: jersey invernale, due paia di calze, base layer, scaldacollo, gilet, guanti, piumino (e qui vorrei omaggiare alla Eros Ramazzotti le pecore merino – grazie di esistere). Salendo, arriva anche il vento. Il fondo diventa più sconnesso, la pendenza aumenta. Sul sentiero compaiono i primi cumuli di neve. Gli ultimi 600 metri di dislivello prima del passo sono praticamente tutti a spinta.

In questo calvario di ciclo-trekking, supero qualcuno che si è fermato a recuperare le energie. Sarà la debole tempra della mia fragile anima mediterranea, ma se mi fermo inizio subito a tremare dal freddo: fare una pausa è fuori discussione, significherebbe smettere di produrre calore corporeo.

Continuo a testa bassa, motivato a valicare il passo. Dopo tutta questa fatica, sono certo che la discesa sarà pedalabile, forse addirittura divertente. Vero? Falso. Scendo a piedi, trascinando la bici e le mie membra infreddolite tra rocce, neve e sassi smossi lungo uno stretto sentiero escursionistico. “Meglio così dai, almeno mi mantengo in movimento. Sai che freddo avrei avuto in discesa?”. Penso tra me e me, in un delirio di ottimismo dettato più dalla stanchezza che da un effettivo buon umore. Afferro la cannuccia della mia sacca idrica per berci sopra. Niente da fare, si è congelata. Beh, posso sempre mangiare la neve.

Negli ultimi chilometri prima del checkpoint il sentiero si apre nel letto di un fiume secco – un paesaggio che diventerà incredibilmente familiare nei giorni successivi. Vado fuori traccia diverse volte, cerco di seguire il gps e confrontarlo con ciò che vedo. Proseguo scavalcando rocce di varie dimensioni con la bici in spalla – un’attività che diventerà incredibilmente familiare nei giorni successivi. Arrivo finalmente alla strada asfaltata, raggiunto da un gruppetto di persone che evidentemente si sa orientare meglio di me. Eccoci al primo checkpoint, alle cinque di mattina. Grazie alla faccenda del non fermarsi mai per non morire assiderato e alla mia a quanto pare innata predisposizione al trekking, scopro di essere relativamente avanti rispetto alle mie aspettative. Dai non male, mancano solo 1.200 chilometri!

Mi fermo per mangiare un’omelette e riacquisire forma umana. Alcune persone rimontano in sella, altre arrivano, alcune dormono per terra tra i tavoli e i tappeti. Valuto l’opzione di ripartire come hanno fatto e stanno facendo in molti. Qui si vede la differenza tra me e gli ultra-ciclisti; metto il naso fuori, il termometro segna -5°C. Oltre alla terrificante idea di rimettermi a pedalare con questo freddo malefico, mi mette molta ansia l’idea di non dormire affatto. Siamo solo all’inizio, non so neanche se ho tutte le carte in regola per arrivare alla fine, meglio stare tranquilli: decido di buttarmi per terra un paio d’ore e provare a dormire.

In retrospettiva, non so se sia stata una buona idea. La situazione era piuttosto caotica, i gestori correvano e urlavano da una parte all’altra. Mi accorgo di essermi dimenticato una cosa fondamentale: i tappi per le orecchie. Inoltre, arrivato al checkpoint ho bevuto circa due litri di tè nel tentativo di scaldarmi e reidratarmi. Sono stremato ma non riesco proprio ad addormentarmi. A quel punto, il mio cervello si rende conto che il tè contiene teina, quell’eccitante identico alla caffeina che c’è nel caffè, che non bevo mai prima di andare a letto, sennò non dormo. Potevi pensarci prima, cervello. Mi rotolo nel sacco a pelo per un po’, ma di sonno effettivo quasi nulla. Nel frattempo arrivano anche Giuseppe e Orestis, mangiano e ripartono: gli ultra-ciclisti.

Giorno 2: Da Telouet a Imassine – Atlas Mountain Race 2023

Dopo qualche ora a rotolarmi sul pavimento senza successo, molto desideroso di dormire ma impossibilitato a farlo, alle nove di mattina rinuncio e mi alzo. È giorno, ma il sole nasconde infingardo dietro alle montagne, l’aria è ancora gelida. Mangio un’omelette, mi toeletto, mi medico. Faccio le borse, mi dimentico qualcosa, tiro fuori tutto, rifaccio le borse (x3). Sono lì da talmente tanto tempo che Bart, uno dei ragazzi volontari, mi chiede se sono in villeggiatura. Rimonto in sella alle undici inoltrate: il sole è finalmente sorto da dietro le montagne, e con esso la consapevolezza che non sarò mai un bravo ultra-ciclista.

Segue la prima di molte giornate caratterizzate da paesaggi incredibili e strade da sogno. Mi esimerò dal provare a descrivere questi luoghi, un po’ perché non ho le doti scrittorie per farlo, un po’ perché ci sono le foto che lo fanno meglio. Highlight della giornata, la serie di letti secchi di torrenti che abbiamo dovuto attraversare dopo il tramonto. Si tratta di piccoli canyon, o meglio, uadi. La traccia li taglia trasversalmente ma, anche qui, un vero sentiero non c’è. Sta a te illuminare ciò che hai davanti e decidere da dove scendere e risalire – ovviamente con bici in spalla. Il primo è impegnativo, ma tutto sommato divertente. Poi la situazione diventa quasi comica, perché questi canyon si susseguono sempre più ampi e profondi. Credo fossero una decina. In un’ora facciamo circa due chilometri: un’ottima dimostrazione di quanto sia velleitario pianificare in anticipo le tappe di un percorso del genere.

Arriviamo nella notte nei pressi di Imassine. Per le persone che abitano in questi villaggi remoti, un evento come questo è veramente straordinario: nell’arco di un paio di giorni vengono invasi da ondate di esseri umani – o ciò che ne rimane – solitamente storditi, stremati e parecchio affamati. Difficilmente hanno le risorse per gestire numeri del genere, ma ce la mettono tutta: qui, il gestore di un esercizio di difficile categorizzazione ha messo a disposizione un pavimento per me e un’altra quindicina dei nostri. Mi dice che lui questa notte non dormirà, per essere pronto a servire tè caldo e omelette a qualsiasi ora. Posso garantire che è stato così: ha passato la notte seduto al freddo con un paio di amici accanto all’ingresso della stanza in cui dormivamo, a chiacchierare e ridere a squarciagola. Attorno a me un buon numero di persone russa vigorosamente. Mi maledico nuovamente per essermi dimenticato i tappi per le orecchie.

Apro una parentesi riguardo alle omelette: assieme ai paesaggi mozzafiato e al trascinare la bici su e giù da grossi sassi, queste sono il terzo pilastro dell’Atlas Mountain Race. Nel senso che spesso è l’unica cosa che ti offrono da mangiare – sebbene io in 1.300 chilometri non abbia visto nemmeno una gallina. Credo di avere ingerito una decina di uova al giorno, e non perché mi piacciano. Anzi, in teoria neanche le mangio. Ma non è che avessi molta scelta.


Giorno 3: Da Imassine a Ait Saoun – Atlas Mountain Race 2023

Il terzo giorno è caratterizzato da tanti, tanti chilometri tra i paesaggi desertici dell’'altopiano. Scopro così che il termine “altopiano” è leggermente fuorviante, visto che è tutto un saliscendi, con salite abbastanza corte da non farti prendere il ritmo ma abbastanza ripide da spezzarti le gambe.

Mi sveglio e sono, come al solito, l’ultimo a ripartire. È ancora buio pesto (qui siamo vicino all’equatore ed è inverno: più o meno, durante la giornata ci sono tredici ore di buio e undici di luce). Sono le sei di mattina e la temperatura è ancora sotto lo zero, come di consueto a queste altitudini quando non c’è il sole. Dopo un incontro peculiare con dei signori marocchini ben vestiti e con dei grossi SUV scuri, che parlando un ottimo inglese mi interrogano sul perché sono lì e mi fanno foto e video “per mandarle ai loro figli”, faccio rifornimento alla stazione di servizio prima di inoltrarmi nel buio del deserto gelato. Procedo assieme a Giuseppe, Orestis e un paio di altri ragazzi. È ancora buio quando si para innanzi a noi un torrente, non rimane altro da fare che togliersi le scarpe e guadarlo. Pensavo che l’esperienza sarebbe stata sgradevole, invece credo che i miei piedi siano stati molto lieti di quel breve bagno nell’acqua gelata.

Dopo un’alba spettacolare, continuiamo per molti, molti chilometri nella natura selvaggia di questo altopiano pazzesco, con canyon e formazioni rocciose che quasi ricordano la Monument Valley americana. La discesa al villaggio di Afra è una delle cose più esaltanti che abbia mai fatto in mountain bike: un double track velocissimo e leggermente tecnico, circondato da un paesaggio surreale, tra canyon e montagne spettacolari. A metà discesa incontro la Control Car con i fotografi dell’evento. Sono in preda all’adrenalina, non parlo con nessuno da un sacco di ore e riesco solo a produrre dei versi sconnessi. Come risposta, mi viene puntata una macchina fotografica in faccia: provo a sorridere ma non posso muovere le labbra, completamente screpolate dal sole, dal freddo e dal vento. Le contraggo di riflesso per il dolore. Click. Ne esce fuori un’improbabile posa con bocca a culo di gallina – l’unico mio ritratto da parte dei fotografi della gara. Thanks.

Ad Afra, dopo essermi viziato con un’omelette, riparto lungo un fondovalle sabbioso in un contesto rurale antropizzato non eccessivamente spettacolare. Lì, solitario nella notte, ma molto più stanco e sfigato dell'Uomo Tigre, inizio a chiedermi: “Perché?”. Troverò conforto ascoltando un po’ di podcast che mi fanno ridere. Nei giorni seguenti, questi saranno la mia salvezza, assieme al Brufen e al Voltaren in compresse – i tre pilastri della mia Atlas Mountain Race.

Dopo aver passato il canyon dove si trovano le famose cascate di Tizgui, che non ho visto perché era buio, e avere avuto un incontro surreale con il loro “guardiano” Omar, che vive proprio lì, affronto l’ultima, lunghissima salita (ma questa volta finalmente su asfalto!) per arrivare nel cuore della notte al piccolo villaggio di Ait Saoun, dove incontro un simpatico signore seduto da solo fuori dal bar/negozio del villaggio. È l’una di notte e le temperature sono sotto lo zero, ma per la gente del posto non fa una grossa differenza stare dentro o fuori, dal momento che gli edifici non hanno il riscaldamento e il fuoco è solo un miraggio, visto che di alberi qua non ne crescono neanche per sogno. Esprimendoci a gesti, il signore mi offre ospitalità su un freddo pavimento di una stanza polverosa, che immagino funga normalmente da magazzino, dove (dopo avere gentilmente rifiutato la trappola del té caldo) dormirò come un bambino, assieme a un paio di altri ciclisti che si uniranno a me nel corso della notte, oltre a un cospicuo gruppo di persone che già da ore dormiva nel retro del negozio, Giuseppe e Orestis compresi.

Giorno 4: Da Ait Saoun a Aserraragh – Atlas Mountain Race 2023

Come al solito, sono tra gli ultimi a partire. Cioè, non proprio, perché nel frattempo arrivano quelli che avevano dormito a valle, e si erano lasciati la salitona per la mattina dopo. Mi ributto nel deserto, da solo, come al solito. A un certo punto, mentre attraverso l’ennesimo altopiano sull’ennesima sterratona sassosa, passo accanto a un paio di baracche da cui esce di corsa una ragazza, forse sui 14 anni, con qualcosa in mano. Pare ce l’abbia proprio con me. Mi fermo, la comunicazione verbale è estremamente complessa, ma a gesti capisco che vuole regalarmi del pane appena fatto. Provo a darle un po’ di soldi, come ho fatto finora per sdebitarmi con le persone che hanno offerto qualcosa, ma lei li rifiuta in maniera categorica. Penso a quanto possono valere per lei quelle poche monete che le sto offrendo, dal valore forse di tre o quattro euro, rispetto a quanto valgono per me. Insisto, ma non c’è modo. Dalle baracche sbuca un’altra ragazza con in braccio un bambino. Chiedo se posso fare loro una foto e si mettono orgogliosamente in posa, con mia grande sorpresa. Dopodiché, la ragazza che mi ha regalato il pane mi chiede il numero di telefono. Immagino che sia per mandarle la foto su Whatsapp, fino a che non tira fuori il suo telefonino, un vecchio Nokia stile 3310 con lo schermo rotto. Alla fine voleva semplicemente il mio numero, che ha utilizzato per farmi degli squilli nei giorni successivi.

A un certo punto incontro Sebastian, un ragazzo canadese con cui passerò la seconda metà della giornata. Poco prima del checkpoint 2, nel villaggio dal buffo nome di Asserraragh, decido dopo un confronto di incoraggiamento con il mio compagno di provare a spingere un po’: le gambe stanno rispondendo bene, quella roba al fondoschiena pare essere gestibile, tanto vale provarci e vedere cosa succede. L’unica a non essere d’accordo è la mia schiena, che inizia a comunicarmi chiaramente che non sta gradendo quello che le sto facendo fare. La lunga discesa al checkpoint è bella scassata, così come lo era la salita, e ho i muscoli talmente contratti che non riesco più a tenere il manubrio. Devo scendere dalla bici per fare dieci minuti di stretching a bordo sentiero. Da allora, diclofenac e ibuprofene sono diventati i miei migliori alleati. Colgo l’occasione per ringraziarli: senza di voi, tutto ciò non sarebbe stato possibile.

Giorno 5: Da Aserraragh a Issafen – Atlas Mountain Race 2023

Dopo una notte passata sul pavimento dell’affollato checkpoint 2 (ma ora dopo un’illuminazione sono riuscito a trovare un’alternativa ai tappi per le orecchie: le playlist di Spotify con rumori bianchi per dormire), si riparte con una discesa su un’ennesima strada sterrata davvero spettacolare. Proseguendo, una volta oltrepassato il villaggio di Tagmout arriva uno dei grandi mostri sacri della traccia, di cui tanto ho sentito parlare: poco prima del tramonto inizio la lunga salita verso il villaggio di Issafen, su una vecchia strada coloniale in stato di abbandono. Il fondo è incredibilmente scassato – sono così felice di avere una mountain bike! – e durante la salita incontro due punti in cui la strada è crollata. In effetti, ce lo avevano preannunciato, ma me lo ero dimenticato. Trovare il punto migliore dove scendere sulle rocce con la bici in spalla, e arrampicarsi di nuovo per rimettersi sulla pista, risulta più complicato del previsto.

La salita è incredibilmente faticosa, sembra non finire mai, ma il panorama al tramonto è semplicemente incredibile. Cala il buio, assieme alle temperature. Durante i vari saliscendi in quota apprezzo decisamente di più le parti in salita che quelle in discesa – che freddo pazzesco! È ormai notte, vedo alcune persone che stanno bivaccando a bordo sentiero. Opzione per me non contemplabile perché ho un sacco a pelo con un limite di comfort di 4°C, e qua probabilmente sarà attorno ai -4°C. Tocca proseguire fino al villaggio di Issafen, che compare come un miraggio dopo una lunga discesa, che sarebbe stata anche molto divertente se la mia schiena non stesse urlando pietà. Giunto al villaggio, sempre a notte fonda, trovo ospitalità nei piani superiori di un negozio dove alcune persone già dormono da un po’. Tra loro c’è Giuseppe, rimasto da solo perché Orestis ha dovuto abbandonare la gara giungendo a Essaouira dopo un’intera giornata di viaggio tra autostop e autobus, dopo avere spaccato il cambio in maniera irreparabile. La sveglia di Giuseppe è impostata tra due ore. Siamo un po’ disallineati… Lo saluto, immaginando che ci rivedremo di nuovo frettolosamente la sera successiva, sul prossimo pavimento.

Giorno 6: Da Issafen a Tafraout – Atlas Mountain Race 2023

Nuovo giorno, e di nuovo l’ultimo a levare le tende. Suona la sveglia, apro gli occhi e ho come l’impressione che ogni singola parte del mio corpo sia dolorante. Striscio fuori dal sacco a pelo, nella stanza ormai vuota, e metto il piede con calzino in una piccola pozzanghera. “Cosa ci fa qui una pozzanghera?!” penso, ancora rintronato dal sonno. Seguo con lo sguardo il rivolo che la alimenta, e noto con orrore che arriva da una porta. Dietro quella porta c’è una toilette alla turca, che già versava in condizioni precarie ieri sera, e stamattina a quanto pare ha iniziato a strabordare dopo essere stata utilizzata da quella ventina di persone che dormivano nella stanza. Un ottimo modo per iniziare la giornata. Faccio un grande, grandissimo respiro e vado a cambiarmi i calzini con l’altro paio che avevo di riserva.

Iniziano ad arrivare quelli che avevano dormito all’aperto in cima al passo, che hanno confermato che faceva un freddo cane. Il villaggio comincia a popolarsi e riparto sotto gli sguardi incuriositi della gente, tanto infreddolita quanto me, e parto per un’altra giornata di fatiche notevoli in luoghi incredibili e fuori dal mondo. La meta è Tafraout: una vera e propria cittadina e destinazione turistica che dispone di servizi di vario genere, compresi ristoranti e hotel. In uno di questi si trova il checkpoint 3, a cui arrivo assieme a Thomas e Hugo. Sono solo le 18, è troppo presto per fermarsi, ma è davvero difficile resistere alla tentazione di una cena al ristorante e, per la prima volta dall’inizio della gara, di una doccia e di un letto. Con gli altri due ragazzi decidiamo di concederci una stanza e di mettere una sveglia presto, alle 3:00. Sono passate da poco le 21:00. Quasi sei ore di sonno su un materasso: un vero lusso!

Giorno 7: Da Tafraout alla Paradise Valley – Atlas Mountain Race 2023

Alle 4 di mattina siamo di nuovo in sella, freschi e riposati (si fa per dire). Quanti chilometri mancano ancora? 420? 460? Non riesco neanche a fare una sottrazione, ma nel mio cervello è quasi fatta. Se non sono bravo in matematica normalmente, figuriamoci in questo stato psicofisico. Motivato dalla mia incapacità nel determinare le distanze, da questo momento non farò altro che pedalare, ascoltare podcast e assumere antidolorifici. Nemmeno dieci chilometri di bici a spinta nella sabbia riescono a demoralizzarmi. (All’arrivo, dopo aver chiesto delucidazioni sul perché avesse messo un tratto del genere in traccia, Nelson risponde: “Ah, il ragazzo che l’aveva fatto l’altra settimana mi aveva detto che era pedalabile”. Esatto: “Era”.)

Sembra che il tempo stia cambiando, l’aria si fa umida, tira vento e all’orizzonte si scorgono dei nuvoloni scuri: le previsioni danno pioggia per domani e dopodomani. Un altro ottimo motivo per sbrigarsi. Dopo quelle due ore e rotte passate a camminare nella sabbia, mi ritrovo ad attraversare la periferia di Agadir poco dopo il tramonto, al buio, su statali piene di camion. Vorrei togliermi il prima possibile da lì, ma la strada sembra essere sempre in leggerissima salita, o forse sono le mie gambe ad essere molto stanche. Ad ogni modo, un’esperienza decisamente sgradevole. Superata finalmente Agadir, mi fermo in un negozietto dove compro qualcosa da mangiare e mi bevo un litro e mezzo di Coca Cola nel giro di due minuti (scusa stomaco). Il signore che gestisce il negozio è molto simpatico, mi chiede da dove vengo, e soprattutto cosa faccio lì, in bici, da solo, al buio. Mi dice di stare attento ai cani randagi, e che sua figlia vive con suo marito in provincia di Torino. Prende fuori il telefono e prova a contattarla tramite videochiamata per farmela salutare. Non risponde subito, dico che devo andare, ma lui insiste e mi dice di aspettare. Ok, richiamiamo. Finalmente risponde il marito, anche lui originario di queste zone. Me lo passa, e anche lui mi chiede perché sono lì, di notte, in bici, e mi dice di stare attento ai cani randagi.

È già piuttosto tardi, ma ho ancora energie e voglio vedere dove riesco ad arrivare. Proseguo uscendo definitivamente dalla città e guadagnando di nuovo quota. Dopo la pianura di Agadir, sul livello del mare, il paesaggio è molto diverso, a volte sembra quasi alpino. Salgo fino a 1.000 metri di altitudine circa, in questa riserva naturale che sembra molto bella, ma non posso dirlo con certezza perché è buio pesto. Avvicinandomi alla costa, le temperature diventano man mano più miti. Verso le 5:00, sono passate 25 ore da quando mi sono messo in sella a Tafraout. Sono carico per arrivare alla fine, ma per farlo, devo riposare almeno un po’. Nella mia testa sono praticamente arrivato, ma mancano ancora 200 chilometri e 4.000 metri di dislivello. Ci saranno 12 o 13 gradi: posso finalmente bivaccare confortevolmente per un paio d’ore senza crepare di freddo. 


Giorno 8: Dalla Paradise Valley a Essaouira – Atlas Mountain Race 2023

Suona la sveglia, ingoio un paio di merendine non identificate che avevo nella borsa, mi rimetto in sella e riparto. Mi sento incredibilmente riposato: deve essere l’adrenalina provocata dall’idea di essere quasi arrivato che non mi fa sentire la stanchezza. Attraverso ancora col buio la Paradise Valley, una località turistica a quanto pare molto pittoresca, almeno così ho letto su internet. Sulla mappa vedo che Giuseppe è una quarantina di chilometri davanti a me. Non si è fermato al checkpoint di Tafraout, ma ha preferito proseguire per dormire in un albergo in un villaggio sulla traccia. Ho un nuovo obiettivo romantico: raggiungerlo per arrivare insieme.

Superati all’alba e di buon ritmo i 1.000 e rotti metri di dislivello del famigerato “Stelvio marocchino” – una lunga salita su asfalto chiamata così perché i suoi infiniti tornanti ricordano quelli del celebre valico alpino – il tempo comincia a cambiare, arrivano folate di vento e minacce di pioggia. Un altro motivo per darsi una mossa. Sono davvero incredulo, non capisco come sia possibile che io abbia ancora tutte queste energie. Fino a che, a un certo punto, le mie gambe smettono di funzionare. Non girano proprio più. Mi corico dieci minuti a bordo strada mangiando qualche dattero che avevo in borsa fissando le nuvole scure che corrono veloci nel cielo. Ok, sembra vada meglio. Che strano il corpo umano.

Prendo una secchiata d’acqua nella salita prima di scendere sulla città costiera di Imsouane, popolata da surfer dall’aspetto nord europeo. Ma non è un grosso problema, perché sulla costa ormai le temperature sono attorno ai 20°C. Mancano solo 100 chilometri, ma ormai avevo imparato che qui 100 chilometri possono celare insidie di ogni genere. Entro in un negozietto, bagnato fradicio, e mi ingozzo di cioccolata e ingurgito due lattine di energy drink – una tragedia nutrizionale. Punto ad arrivare prima che l’effetto di questi finisca e mi ritrovi a rantolare accartocciato in un fosso a bordo strada.

Fortunatamente quest’ultimo pezzo è anche il più scorrevole dell’intero percorso, tra una piacevole strada litoranea e delle ampie sterrate. Grazie Nelson, allora anche tu hai un cuore. Affronto le ultime due salite in botta dura da zuccheri e caffeina e finalmente scorgo all’orizzonte la sagoma di Giuseppe, che sta lottando con i suoi dolori al collo, il motivo che mi ha permesso di raggiungerlo – sennò chi lo vedeva più. Emettiamo un paio di versi di giubilo e arriviamo al traguardo insieme. Qui Orestis ci aspetta con due birre, le prime dopo una settimana incredibile. Mi ci vorrà un’altra settimana (e un quantitativo spropositato di calorie ingerite e di ore di sonno) per riacquisire sembianze umane, e qualche mese per riacquistare la sensibilità del mignolo e dell’anulare di entrambe le mani. Ma giuro che ne è valsa la pena!



testo e foto: Luigi D'Imperio




BoFiBo / Transappenninca
Bologna, 23/09/2023

BoFiBo è l'unsupported bike trail che da Bologna raggiunge Firenze per poi tornare al capoluogo emiliano svalicando due volte l'Appennino. Si comincia percorrendo i 120km della Via degli Dei fino a Firenze. Il tracciato lambisce le friabili pareti rocciose di Monte Adone e Badolo, il Passo della Futa e i suoi boschi, l'antica strada imperiale Flaminia minor che apre alla volata per raggiungere San Piero a Sieve e lo straordinario belvedere di Fiesole.

Obiettivo primo: raggiungere Piazza della Signoria a Firenze. E si riparte! 30 Km verso il Duomo e il Castello di Prato, si imbocca la Via della Lana e della Seta che in 130 Km torna a Bologna nel solco della valle del fiume Bisenzio, ombreggiati da Vernio, Montovolo e Monte Sole.

Antichi ruderi, borghi storici, chiese medievali e i più moderni monumenti di archeologia industriale punteggiano il tracciato. Il silenzioso paesaggio appenninico del primo autunno vi aprirà la possibilità di vivere nelle gambe la vera distanza tra i due capoluoghi dimenticando la viabilità alla "un'oretta e son lì".

Rupex ha generosamente regalato al mondo dei pedalanti sette edizioni della 5 Valli Eliminator, la prima, unica e insostituibile randonneé off-road bolognese. Con un inaspettato e forse mal calibrato slancio, ci buttiamo anima e corpo nell'organizzazione di questa nuova avventura transappenninica: la BoFiBo, lunga il doppio, divertente il triplo. Una traccia che riprende vie conosciute ma regala anche molti passaggi inediti e suggestivi.

Il Trail, come sempre quando ci inciampano i Rupex, è tecnico, lungo, faticoso, divertente.
Bella la cultura, l'arte, i paesaggi indimenticabili e l'epopea del viaggio ma la traccia si snoda soprattutto alla ricerca di single track e spondine che non lasceranno deluso l'aitante partecipante.

Si parte il 23 settembre. I km sono circa 300, il dislivello 7500m D+, sofferenza e sudore variabili.
La soddisfazione, possiamo assicurare, tanta.








foto: wok photography
   
BoFiBo è stata realizzata con il contributo della Regione Emilia-Romagna




5 Valli Eliminator / MTB, Gravel, Bikepacking
Bologna, 24/09/2022

105 ciclisti iscritti: nuovo record della 5VE;
87 impavidi alla partenza nonostante le avverse previsioni meteo;
65 Terminator hanno completato l’itinerario entro le 16 ore, vivi;
7 fortissime donne;
9 ore circa è stato il tempo dei primi arrivati;
15 ore circa è stato quello degli ultimi;
2 giorni di avventura per chi ha pernottato presso Il Rifugio Poggiolo di Monte Sole.

5VE 2022 è un percorso MTB ed uno tracciato appositamente per GRAVEL,
per gli appassionati di BIKEPACKING si poteva pedalare sia Sabato 24 che Domenica 25 Settembre pernottando sotto le stelle.
Il percorso Gravel è percorribile anche in MTTandem in collaborazione con Fondazione per lo Sport Silvia Parente.

5VE 2022 ripropone un itinerario simile alla traccia originale ma con salite più croccanti, nuovi sentieri e discese scassate, i numeri rimangono più o meno quelli di sempre: circa 140 km per 3.500 D+, abbondanti.





foto: wok photography




Bike to Ski / Corno alle Scale 2021, Libro Aperto 2022, Monte Cimone 2023.

Quante cose facciamo  senza che abbiano alcun senso?

le azioni più improbabili e a volte dannose per noi, per gli altri e per quello che ci circonda.

Fare una cosa stupida senza senso ma leggera. Questo il senso del Bici + Sci, Il filo conduttore che unisce le nostre due passioni: lo scialpinismo e il ciclismo.

Che unisce insieme la pianura padana e le cime appenniniche

Edizione dopo edizione andiamo ad unire e cucire insieme Corno alle Scale, Libro Aperto, Monte Cimone e Bologna

Non sembra neanche che la sveglia sia suonata alle 4, le nostre retine hanno ancora impresso il lampeggiare delle luci rosse dei compagni mentre la fondovalle ci sfila sotto le ruote.

Qualcuno ha portato tutto ben legato sulla bici: sci, pelli, ramponi, pala, sonda, vestiti e scarponi. Qualcuno ha lasciato alla nostra ammiraglia uno zainetto, qualcuno ha inventato scuse improbabili per non venire.

Momenti da ricordare

Salame. Regalatoci alla partenza dal macellaio in segno di stima, incredulità e derisione

Buio. Le prime ore in sella fino alla colazione

Freddo. Anche in salita dopo la colazione non si sa perché

Il motociclista. Incontrato al bar di fanano ci spiega che idiozia sia la nostra impresa, lui fenomeno dello sci, rinomato appenninista prevede per noi neve squaccia, fango e lacrime.

Chiazze di neve. Il cava e metti in salita quando anche i membri dell’ammiraglia ci deridono

450g. Il peso della pasta che Antonio dichiara di voler mangiare

Cima. Tutti sdraiati sul prato di vetta, di fianco all’osservatorio, il vento che fa cadere gli sci, chi dorme chi mastica e chi freme per scendere

Ripido. Le dieci stupende curve su firn lasciate nei canali Ovest

Neve. Che inizia a caderci in testa mentre leghiamo gli sci sulle bici

Tanta neve. Che ci infradicia durante tutta la discesa, la strada bianca e scivolosa ci infradicia e infreddolisce

Arcobaleno. Arcibello che si pavoneggia in tutti i suoi colori ai cambi di prospettiva durante la volata lungo il Panaro

Barista. Che esce da dietro al bancone per controllare se veramente siamo andati a sciare in bici o se i suoi clienti sono troppo ubriachi.

Calici. Levati in via del pratello, per chi ce l’ha fatta, per chi quasi, per chi ci ha supportato, per quelli sul divano, per chi verrà alla quarta edizione, quella del 2024.


Foto: Enrico Gasperini